ANDARE IN PENSIONE A 40 ANNI SI PUO’? DALLA SCANDINAVIA PARTE UNA RIVOLUZIONE DESTINATA A FALLIRE – IN SVEZIA E DANIMARCA, TRA I GIOVANI SPOPOLA IL MOVIMENTO “FIRE” (“FINANCIAL INDEPENDENCE, RETIRE EARLY”), CHE INCITA A SMETTERE DI LAVORARE PRIMA DEI 50 ANNI, E FORNISCE CONSIGLI SU COME METTERE DA PARTE ABBASTANZA SOLDI PER FARLO – UN “SOGNO” APPARENTEMENTE POSSIBILE GRAZIE AL GENEROSO STATO SOCIALE, CHE PERÒ COSÌ RISCHIA DI COLLASSARE – E GLI ECONOMISTI SMONTANO IL PROGETTO: SOLO I PIÙ BENESTANTI POSSONO SPERARE IN UNA VERA INDIPENDENZA ECONOMICA IN GIOVANE ETÀ…

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Estratto dell’articolo di Eva Pedersen per “la Repubblica"

 

movimento scandinavo fire per smettere di lavorare in giovane eta movimento scandinavo fire per smettere di lavorare in giovane eta

«Ho voglia di più libertà di scelta per me e per la mia famiglia». È un pensiero che unisce sempre più giovani scandinavi attratti dal movimento Fire, “Financial independence, retire early”. I suoi seguaci cercano di creare una base economica che permetta loro di ritirarsi dal sistema contributivo molto prima del previsto.

 

L’idea è di mettere da parte abbastanza soldi già in giovane età per poi smettere di lavorare, anche prima dei 50 anni. Possono contare sull’aiuto di molti influencer, pronti a dare consigli su come risparmiare più soldi possibile.

 

Può sembrare una contraddizione. I Paesi scandinavi sono fra i più ricchi del mondo. Il più ricco, la Norvegia, ha un Pil pro capite il 40% sopra la media europea, ma anche Danimarca e Svezia sono tra i più avvantaggiati.

 

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Allo stesso tempo, il sistema scandinavo viene spesso descritto come “conformista”: generoso, ma con regole rigorose che lasciano poche libertà di scelta a individui e singole famiglie. È per questo che i giovani sognano di ribellarsi.

 

Ma occorre l’indipendenza economica. Secondo Mi Ah Schoyen, ricercatrice all’Università Metropolitana di Oslo, il movimento Fire sembra molto diffuso grazie ai social media. Per Schoyen, la verità è che solo i più benestanti possono sperare in una vera indipendenza economica. «Il dipendente medio non guadagna abbastanza per poterlo fare», spiega.

 

Il sostegno al welfare però rimane molto alto nel Paese: «Meno del 10% dei norvegesi vuole tagliarlo», dice Schoyen. Per la specialista di economia privata Endre Jo Reite è proprio il generoso sistema del welfare a rendere possibile il sogno di ritirarsi dalla vita lavorativa già prima dei 50 anni. «In Norvegia non c’è bisogno di pensare a un’assicurazione privata o a chi si prenderà cura di te quando sarai grande. Noi abbiamo un sistema che permette a tutti di avere una sicurezza di base. Questo rende la strada verso l’indipendenza economica più corta», dice Reite.

 

Maj My Humaidan Maj My Humaidan

Il problema, secondo Reite, è che lo stesso welfare che permette alle persone di pianificare un futuro senza lavoro, è minacciato dal fatto che sempre più persone non possono o non vogliono più contribuire.

 

«Ancora parliamo di piccoli numeri, ma se aumentano, il modello norvegese non regge più», sottolinea Reite. Secondo l’economista, l’idea di dare priorità ai propri risparmi in una società basata sulla collaborazione e contribuzione di tutti, segnala un cambiamento radicale rispetto alle generazioni precedenti.

 

[…]  per il ministro danese all’immigrazione e integrazione, Kaare Dybvad Bek, ritirarsi dal sistema contributivo vuol dire ignorare che sono gli sforzi di tutti che rendono possibile un ampio welfare. «Tutto questo è possibile perché creiamo valore quando facciamo lo sforzo insieme», dice nel libro “Arbejdets land” (Il paese del lavoro).

 

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Il libro di Bek è stato pubblicato in risposta a un altro libro danese, “Il manifesto Aero” della scrittrice Maj My Humaidan. Anche Humaidan ha voluto ritirarsi dal sistema scandinavo, che descrive come troppo rigoroso e basato sul pubblico.

 

Insieme al marito ha tolto i bambini da nidi e scuole e si è trasferita sulla piccolissima isola Aero, nel Mar Baltico, per avere più tempo insieme. «Ormai solo i privilegiati possono permettersi di passare tempo con i propri figli», dice la scrittrice. […]

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